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Da Sforzatica a Quarto. Storie di Bergamaschi nell’epopea Garibaldina

di Valerio Cortese (valerio.cortese@gmail.com)

L’epigrafe posta sulla facciata del palazzo Poletti De Chaurand a Sforzatica Dalmine ci ricorda come i bergamaschi furono attori importanti nella epopea risorgimentale, con un passaggio fondamentale nella spedizione dei Mille. Ben un quinto della spedizione era quindi formata da bergamaschi. Costituirono la VIII Compagnia, detta di «ferro», che si distinse per la sua compatta formazione e gli atti eroici così ben descritti da Guido Sylva, che fu uno dei testimoni più attenti della spedizione.

Lapide_fratelli_Dall'Ovo

Epigrafe posta all’esterno della Villa Dall’Ovo

In verità i bergamaschi che partirono da Quarto furono 180. Il giorno della partenza dalla stazione di Bergamo, il treno che doveva appunto accogliere circa 200 volontari ne stipò oltre 300 di tutte le età. A Milano però avvenne una prima selezione soprattutto tra i più giovani (si erano presentati addirittura dei dodicenni!) e tra i malandati in salute. A Quarto il grosso dei Bergamaschi si imbarcò sul piroscafo «Lombardo» e così ebbe inizio l’avventura che portò a unificare le terre italiane attorno al Regno dei Savoia.

Ma chi erano i Bergamaschi che parteciparono alla Spedizione? Ci vengono in aiuto due volumi storici che narrano le vicende dei Mille e ci danno un tratto di come Bergamo e i suoi cittadini aderirono agli inviti di Garibaldi. Guido Sylva scrivendo «La VIII Compagnia dei Mille» segue passo passo le gesta dei Garibaldini e ne traccia un diario forse enfatico ma pieno di umanità e di grandi azioni che elevarono le gesta di tutti coloro che credettero nel momento «storico» di riportare l’Italia sotto una sola bandiera. Nel libro «Le 180 biografie dei Bergamaschi dei Mille», curato da Alberto Agazzi, troviamo in dettaglio le note anagrafiche di quanti credettero di trovare nel sogno Garibaldino una nuova nazione e nuovi ideali di patria sino a quel momento mortificati dalle dominazioni francesi prima e austriache poi.

I nomi famosi da tutti ricordati sono il nostro concittadino di elezione Luigi Enrico Dall’Ovo; Francesco Cucchi e Francesco Nullo, arruolatori della VIII Compagnia; il Comandante Vittore Tasca; il trombettiere Giuseppe Tironi. Accanto a loro ci sono una serie di figure non meno «determinanti» anche se non hanno lasciato ricordi così tangibili.

02 - Luigi Dall'Ovo - Oldani

Luigi Enrico Dall’Ovo in un disegno di Luigi Oldani

Dei 180 partiti ben 111 erano cittadini,  8 nativi della Val Seriana, 12 della Val Brembana, 16 della Bassa, 12 delle località ad est verso il Lago d’Iseo e 8 dei paesi dell’Isola. I Bergamaschi di adozione erano 13, nati in province diverse, ma residenti a vario titolo a Bergamo o in provincia.

Il richiamo a seguire Garibaldi fu ovviamente più forte in città per i maggiori contatti che gli abitanti di Bergamo potevano avere con i punti di riferimento della operazione. Peraltro la definita presenza di «provinciali» indica un contatto e una discreta ramificazione della rete informativa che si era creata per garantire l’apporto di volontari alla Spedizione.

Molti di loro avevano già scritto pagine storiche nelle Campagne del 1848-49 (11) e nella Guerra di Crimea (2). Ben 66 erano reduci dalla Campagna del 1859 e in 57 avrebbero partecipato alla III Guerra di Indipendenza del 1866.

Fu importante per Garibaldi avere a disposizione gente esperta che sapesse garantire una conduzione delle operazioni militari non improvvisata e sapesse guidare anche truppe che avrebbero potuto costituirsi in loco, pertanto mal assortite e di certo poco avvezze al combattimento e alla disciplina militare.

Interessante anche la suddivisione per professione: 72 erano operai e artigiani, 32 intellettuali, artisti e impiegati, 28 studenti, 18 possidenti o imprenditori a vario titolo e 9 soldati di professione. Di 21 si ignora la professione o più semplicemente non ne avevano una. Accanto ai giovani studenti e agli intellettuali che di certo avevano, più di altri, potuto approfondire le tematiche del Risorgimento, è determinante il fatto che si affiancarono anche persone del popolo.

Questo fa capire come fosse forte il carisma di Garibaldi ed il richiamo alla unità nazionale, che peraltro aveva avuto una sua motivazione dalla volontà di affrancarsi dal dominio Austriaco prima per poi riportarlo più in esteso anche a territori sottoposti a vecchie potestà ormai superate dagli eventi che avevano percorso l’Europa dell’ottocento. Vicino a chi aveva lottato per portare un nuovo pensiero politico si erano uniti coloro che invece avevano visto nei moti risorgimentali l’opportunità di migliorare il proprio livello di vita, affrancandolo dalla povertà che aveva contraddistinto le nostre terre.

Erano pertanto i giovani ad aver risposto all’invito di Garibaldi. Ben 55 erano al di sotto dei vent’anni (con il giovanissimo tredicenne Adolfo Biffi di Caprino Bergamasco, che perì a Calatafimi senza aver neppure compiuto i 14 anni) e ben 95 sotto i 30 anni. Giulio Cesare Abba nel libro «Da Quarto al Volturno – Noterelle di uno dei Mille» ebbe a scrivere che «parecchi erano gli adolescenti, “bergamaschi quasi tutti”».Nuova immagine

La spedizione, pur eroica, lasciò sul terreno feriti e morti soprattutto nelle due più cruente battaglie iniziali di Calatafimi e Palermo. Complessivamente ben 36 bergamaschi furono feriti seriamente e 15 perirono.

Il tributo di sangue che i Bergamaschi diedero alla spedizione fu importante e sottolinea la durezza della operazione che forse non emerge nei testi ufficiali ma che si evidenzia leggendo le singole biografie. Storie di sofferenza, di dolore e di morti talvolta atroci, tenuto conto che le strutture di supporto medico erano praticamente inesistenti. Carlo Trezzini di Bergamo, è la figura più sfortunata e tragica che merita un giusto ricordo. Durante la battaglia di Calatafimi, fu ferito sotto il ginocchio sinistro da una palla che gli causò una frattura interna. Guido Sylva lo trovò dopo qualche ora, solo, addossato ad una siepe di una strada di campagna. Portato in un Convento di Cappuccini, subì ben tre volte la progressiva amputazione della gamba, prima sopra il ginocchio, poi a metà della coscia ed infine al bacino. Salvato in queste misere condizioni fece ritorno a Bergamo; Sylva lo ricorda come «triste martire vivente dell’eroica campagna, con le medaglie commemorative e quella al valor militare». Muore nel 1863, solo diciottenne per le conseguenze delle ferite riportate.

L’aspetto più interessante della storia della spedizione dei Mille, si legge nel destino che legò per sempre queste eroiche persone nella loro vita. Dopo la fine delle attività militari e la consegna di quello che fu il Regno delle Due Sicilie a Vittorio Emanuele II presso Teano, molti garibaldini tornarono alla loro vita ordinaria. Abbiamo già citato che comunque il carisma di Garibaldi fece da richiamo irresistibile per tanti che nel 1866 si rimisero al servizio del Generale.

Francesco Nullo, perì prima di tale data andando in soccorso nel 1863 dei «fratelli» Nuova immagine (2)polacchi combattendo l’invasore russo e con lui per anche il ventitreenne Stefano Marchetti di Bergamo. Altro personaggio meno noto ma altrettanto valoroso, Luigi Perla, morì a Digione nel 1871 in aiuto ai Francesi contro i Prussiani.

Per altri l’esperienza incredibile della spedizione dei Mille cambiò la vita: si dispersero sul suolo italiano, portando con sé il ricordo, quello della propria terra e di un mondo che non sarebbe più stato tale.

L’unificazione per molti versi può essere chiamata «annessione» al Piemonte del vecchio Regno delle Due Sicilie. Le cruente fasi successive impegnarono l’esercito sabaudo in una difficile guerra di logoramento contro quello che fu chiamato il fenomeno del brigantaggio, ma che molti storici definiscono ormai una vera e propria guerra civile. Gli anni successivi all’Unità d’Italia non furono sfruttati per creare quello stato che molti patrioti idealisti di primo ottocento avevano preconizzato. Massimo D’Azeglio fu di certo profeta pronunciando la famosa frase: «Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli Italiani».

Nel maggio del 1885 si svolse a Palermo la commemorazione del venticinquesimo della Spedizione dei Mille. La giovane età dei Bergamaschi non fu condizione di vederli testimoni della ricorrenza in quanto solo poco più di sessanta poterono celebrare la loro epopea in terra siciliana. Solo in 27 poterono ricordare il cinquantesimo della spedizione nel 1910.

Nuova immagine (1)Luigi Bolis di Bergamo, che andò a vivere in provincia di Firenze, fu l’ultimo dei Bergamaschi protagonisti della Spedizione. Morì nel 1932 a quasi 72 anni di distanza dal fatidico 5 maggio 1860, traguardando ben oltre la prima guerra mondiale e giungendo alla soglia dei 90 anni a festeggiare a Palermo il settantesimo della spedizione. Era ormai tra i pochissimi testimoni di una vicenda che era veramente lontana nel tempo spazzata via negli ideali dalla storia di una nazione che continuava ad essere in via di costruzione e che ormai viveva tempi che sarebbero diventati cupi di li a pochi anni.

Il viaggio di quei giovani e forse inconsapevoli bergamaschi, iniziato sotto l’epigrafe del palazzo De Chaurand Poletti, ha davvero cambiato le sorti della nostra nazione. Merita almeno attenzione il passargli accanto e forse, pensando a tutto ciò che accadde, non dovremmo stupirci se un brivido dovesse percorrerci, se non il corpo, almeno la mente.

 

 


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